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17 LUGLIO 2020

FOYER DAVIDE BRAMANTE&FRIENDS. I NUOVI SICILIANI a cura di Aldo Premoli In mostra opere di: Davide Bramante, Stefano Cumia, Francesco De Grandi, Emanuele Giuffrida, Giovanni Iudice, Francesco Lauretta, Loredana Longo, Ignazio Mortellaro, Filippo La Vaccara, William Marc Zanghi. Intervento sonoro di Michele Spadaro

La migliore espressione dell’arte contemporanea siciliana si è data appuntamento a teatro. Per l’esattezza al Tina Di Lorenzo di Noto che per la prima volta, nella sua storia lunga 150 anni, ospita una mostra. Non nel foyer, come spesso accade in Italia e non solo, ma in platea, sul palco e in tutti gli altri spazi, tra velluti rossi e stucchi dorati di uno splendido esempio di architettura di fine Ottocento.

 Il curatore della mostra ha inoltre sollecitato un intervento sonoro dell’ingegnere del suono Michele Spadaro, il più giovane di una straordinaria pattuglia di artisti tutti sicilianissimi, anche se solo alcuni residenti sull’Isola. La sinestesia è uno degli aspetti prediletti nel dialogo tra le arti e con un teatro nato originariamente per ospitare musica lirica si sposa alla perfezione.

 Tuttavia gli altri artisti qui sono esclusivamente artisti visivi, tutti colleghi e amici di Davide Bramante che non è nuovo a iniziative del genere.

Davide Bramante lo conferma: «Da sempre mi sono circondato, in maniera istintiva, senza alcuna pianificazione o strategia, di artisti che hanno i miei stessi sogni, gli stessi desideri e alla fine anche la stessa provenienza. Artisti che hanno assaporato gli stessi profumi della nostra terra. E’ stato poi facile, e in fondo bello, incontrare di nuovo, fuori dall’Isola, chi come me, un passo al giorno, tutti i giorni, è andato avanti. Li ho incontrati nelle gallerie e nelle fiere d’arte e nei dibattiti di ogni parte del mondo… siamo partiti in mille ma ora siamo rimasti in molti meno».

Aggiunge il curatore Aldo Premoli: «Quello che descrive Davide Bramante è il profilo di una generazione. Alcuni di loro sono “usciti” dall’isola: è il caso di Francesco Lauretta (Venezia, poi Torino e quindi Firenze); Stefano Cumia e Filippo La Vaccara (Milano); Loredana Longo che si divide tra Milano e Catania; Davide Bramante stesso che da Torino è ritornato a Siracusa; Francesco De Grandi che viaggia moltissimo ma sta a Palermo esattamente come William Marc Zanghi e Ignazio Mortellaro; Giovanni Iudice ed Emanuele Giuffrida che hanno scelto di gravitare rispettivamente a Gela e a Ragusa… persino Michele Spadaro, il giovane sound designer si è mosso su Londra per ritornare appena è stato  possibile ad Aci Castello».

Che cosa espongono in questa mostra? Davide Bramante, un artista che pure ha scelto il medium fotografico come mezzo espressivo sintetizza così le opere raccolte: «C’è ancora tanta pittura in Sicilia, un media a cui più volte, da più parti, è stato fatto il funerale, ma che al contrario è vivo e vegeto. Dopo Lucio Fontana, che aveva programmaticamente “bucato il pallone”, sulla morte della pittura sono state scritte pagine infinite… e invece no, intorno a quel pallone magari più grande, magari più piccolo, ovale o bislungo, si sono sviluppati una serie infinita di giochi».

«Il che non significa – continua Aldo Premoli – che Davide Bramante, Ignazio Mortellaro o Loredana Longo debbano essere considerati qui fuori contesto. Al contrario. Utilizzano media diversi dalla pittura ma non le si oppongono come era accaduto negli anni Sessanta con l’arte povera o nei Settanta con le sue forti componenti ideologiche. Nemmeno si ritraggono di fronte al suo ritorno pervaso da forti componenti decorative tipico degli Ottanta. Così come nessuno di loro, pittore o altro, pare essere interessato alla ostentazione, al cinismo, allo sberleffo anni Novanta. In nessuno degli artisti qui esposti si sente finzione e alla fine conservatorismo e restaurazione. A questa generazione importa poco di conformarsi a questo o quel cliché imposto dalla moda del momento.

L’arte contemporanea, quando è davvero arte e non strizza l’occhio al commercio più bieco, al contrario oltrepassa le mode. Non è un antidoto ai guai del mondo, non è un farmaco e quasi sempre non produce alcuna consolazione. A questa generazione di artisti interessa principalmente il fare, molto meno commentare o celebrarsi. Un percorso comune però c’è e ha alla base il desiderio di riuscire a vivere (sì esattamente a “campare”) con la propria arte. Cosa non sempre scontata, anzi sempre difficile se si vuole rimanere coerente con il proprio lavoro, se si è poco inclini ai compromessi e alle ruffianate di cui è pieno il cosiddetto “mondo dell’arte”. Ecco questi “Nuovi siciliani” sono certamente (anche) accomunati da questo».

Sottolinea Davide Bramante: «Fortunatamente gli artisti non hanno bisogno di grande disponibilità di cose materiali per essere felici. Hanno invece sempre bisogno di svegliarsi e ogni giorno mettersi a progettare. Davanti a una tela, a un mucchietto di creta, a un foglio o a qualsiasi altro materiale abbiano a disposizione».

«In questo sono speciali – evidenzia Aldo Premoli – e anche un po’ folli. Immaginate cosa significa andare alla ricerca ogni giorno di un nuovo progetto per riuscire a respirare? Nella storia dell’arte e della cultura in generale esistono le cosiddette “generazioni di mezzo”. Sono quelle che fanno più fatica, a volte vengono schiacciate da eventi traumatici (crisi economiche, conflitti politici, pandemie, mutamenti di orizzonti geografici) e tuttavia riescono a realizzare lavori sorprendenti, e hanno il coraggio di mettere in discussione la loro ricerca precedente. Permettetemi una citazione conclusiva. James Baldwin in “La prossima volta il fuoco” scrive: “Spetta agli uomini liberi apprendere la natura del mutamento, ed essere capaci e disposti a cambiare. Non parlo del mutamento che avviene in superficie, bensì di quello che avviene nel profondo. Mutamento nel senso di rinnovamento, dunque, che però diventa impossibile se si credono costanti cose che non lo sono: la sicurezza, per esempio, o il denaro o il potere. Crederlo equivale ad aggrapparsi a chimere, dalle quali si può solo essere ingannati, così che ogni speranza – e ogni possibilità – di libertà scompare”. Se non lo fanno gli artisti, quelli veri, allora non lo può fare proprio nessuno».

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